Il 100% dei sistemi di controllo remoto della casa collegati a Internet, e fra questi anche i modelli più sofisticati, presenta gravi falle di sicurezza. L’allarme, che interessa in prima persona i consumatori che si servono di apparati connessi per monitorare le proprie abitazioni ma può valere anche per uffici e ambienti di lavoro professionali in genere, arriva da HP. La casa californiana, attraverso il proprio servizio di test Fortify On Demand (che consente ad organizzazioni di qualsiasi dimensione di testare rapidamente la sicurezza di selezionate applicazioni e apparati o di avviare un programma di sicurezza completo, senza investimenti aggiuntivi in software o personale dedicato), ha infatti riscontrato gravi vulnerabilità in tutti e 10 i dispositivi analizzati (app mobili e componenti cloud compresi) quali password non protette e difetti di cifratura ed autenticazione.
Se, da una parte, soluzioni di telecontrollo come videocamere e sensori di movimento stanno vivendo un vero e proprio boom di domanda a cavallo del fenomeno Internet of Things (4,9 miliardi di dispositivi connessi verranno utilizzati nel 2015 su scala globale secondo Gartner, e arriveranno a 25 miliardi entro il 2020), lo studio di cui sopra dimostra come il ricorrere a device connessi per attività di controllo remoto sia paradossalmente un rischio dal punto di vista della sicurezza. E la minaccia principale è costituita per l’appunto dalla natura connessa di questi apparati, che a differenza dei sistemi che li hanno preceduti operano collegati a Internet in modalità h24.
I vantaggi e i benefici promessi dall’Internet delle cose, insomma, devono fare i conti con problemi di affidabilità degli stessi apparati connessi. Problemi che pochi, forse, conoscevano. Fra le falle di sicurezza più comuni e di facile risoluzione, fra quelle riscontrate da HP, spicca in primis l’inadeguatezza delle procedure di autorizzazione. Tutti i sistemi che includono interfacce Web personalizzate basate su cloud e mobile , rileva infatti lo studio, non richiedono una password con livello di complessità e lunghezza sufficienti e non sono grado di bloccare gli account dopo un determinato numero di tentativi non riusciti.
Altro punto debole dei sistemi di controllo connessi sono quindi le interfacce Web, per cui si è scoperto la facilità con la quale un potenziale aggressore può attaccarle, sfruttando tecniche di “harvesting” degli account (processo che permette di identificare gli account utente esistenti) e le carenze applicative degli apparati. Un altro rischio cui si è esposti utilizzando sistemi di telesorveglianza e simili riguarda la privacy: tutti i sistemi raccolgono alcune informazioni personali dell’utente (quali nome, indirizzo, data di nascita, numero di telefono e persino numero di carta di credito) e l’esposizione di tali informazioni (comprese quelle di natura video) è di conseguenza preoccupante vista la scarsa affidabilità dei sistemi stessi.
Il problema è insomma reale e, come spiega Pierpaolo Alì, Sales Director South Europe della divisione Enterprise Security Product di HP, interessa da vicino anche l’Italia. “La diffusione dei dispositivi di controllo remoto costantemente connessi e accessibili – conferma infatti il manager – continuerà ad aumentare anche nel nostro Paese grazie alla convenienza e all’utilità di queste soluzioni. I risultati del nostro studio dimostrano innanzitutto l’importanza dell’educazione degli utenti rispetto all’uso sicuro delle soluzioni Internet of Things ed evidenziano inoltre la necessità, per le aziende produttrici di apparati, di risolvere alla radice i problemi intrinseci di affidabilità dei propri prodotti, evitando così di esporre inconsapevolmente i clienti a seri pericoli